Cari amici,
Oggi, Mercoledì delle Ceneri, ha inizio il cammino di quaranta giorni verso la Pasqua. Un cammino che richiama i quaranta anni di Israele nel deserto e richiama i quaranta giorni di Gesù nel deserto per esservi tentato, per esservi messo alla prova. La Chiesa però lo chiama un cammino gioioso. Nelle sue preghiere dice festosa ieiunia, un digiuno festoso. Perché un cammino che tradizionalmente, e direi realmente, è ritenuto penitenziale la Chiesa lo definisce festoso, addirittura lo dice ieiunia festosa, un digiuno festoso? Come può un digiuno essere festoso? È un cammino quello della quaresima che è orientato al mistero più grande, che è un mistero veramente gioioso, un mistero veramente festoso: la Pasqua. Per un cristiano non c’è niente che sia più grande della Pasqua. Voi vi domanderete: “Ma la Pasqua cos’è? Cos’è nella sua realtà profonda?”. La Pasqua è l’evento che attualizza, che rende presente ancora in mezzo a noi la morte e la resurrezione di Gesù. Non è solo una memoria, non è solo un ricordo, ma è una memoria sacramentale, cioè attualizzante, che rende presente misteriosamente (in un modo che noi non riusciamo a capire come), la realtà somma del cristianesimo, cioè la morte redentice, la morte salvatrice e la resurrezione di Gesù di Nazaret che è l’evento centrale della storia umana. Dico Gesù di Nazaret perché non si pensi a qualcosa di vago, di mitico. Gesù di Nazaret cioè un uomo che è nato in un tempo, in un posto, databile, in qualche modo riscontrabile documentariamente, quindi un evento storico accaduto nella nostra storia. Gesù di Nazaret è morto e quindi questo direbbe la fine di una persona anche se era una persona da molti guardata con immensa speranza. Se c’era uno che poteva salvare il mondo era proprio lui e lui è stato crocifisso, è morto ed è stato sepolto. È importante anche questo, è stato sepolto. Ma quando le donne il primo giorno dopo il sabato sono andate al sepolcro per continuare e completare l’imbalsamazione del suo corpo, interrotta per la festa pasquale, le donne hanno trovato il sepolcro vuoto. E poi a loro lui è apparso; e poi è apparso a Simone, ed è apparso agli undici, ed è apparso per 40 giorni diverse volte. Il Crocifisso che era stato rifiutato, Dio lo ha approvato risuscitandolo e questo è il cuore della nostra fede. Essere cristiano vuol dire credere in Gesù di Nazaret che è passato nella storia degli uomini del suo tempo, facendo il bene, guarendo, annunziando il regno di Dio, liberando gli uomini dalle loro schiavitù. Gesù di Nazaret che è stato rifiutato dai capi del suo popolo sia religiosi sia politici. Loro lo hanno rifiutato, Dio lo ha approvato risuscitandolo dai morti e questo è l’evento centrale da cui viene tutta la grazia della nostra salvezza. Da questo evento, Gesù di Nazaret crocifisso e risorto, il crocifisso glorioso quindi, da questo evento viene tutta la grazia della salvezza, viene la Chiesa, vengono i sacramenti, viene anche la mia, la nostra santità, la mia santità battesimale, la vostra santità battesimale che non aggiunge nulla alla croce di Cristo. In qualche modo la mia santità personale è già precontenuta nel mistero della croce gloriosa di Gesù, fiorisce come un germoglio vivo sulla croce di Cristo. Perché tutta la grazia, compresa la grazia che mi salva, compresa la grazia che mi fa santo, cioè figlio di Dio, fratello di tutti gli uomini, tutto quello che è grazia, che è salvezza, è realmente contenuto in questo evento storico grandioso. Questo intervento poderoso di Dio nella nostra storia, la morte e la resurrezione di Gesù di Nazaret è l’evento che ci salva. Ecco noi camminiamo verso questo evento e per questo la quaresima è un cammino gioioso, un cammino di grande speranza, se volete, un cammino che ci mette anche alla prova con la croce, però è una croce aperta alla speranza. Vedete non dobbiamo mai fermarci soltanto al crocefisso, se noi ci fermassimo soltanto al Cristo crocefisso, noi vedremmo l’uomo più buono di questo mondo, più misericordioso, più grande di questo mondo, che però è stato sconfitto e questo ci lascerebbe con il cuore pieno di desolazione. Ci lascerebbe nella nostra disperazione, nella nostra radicale incapacità di darci una salvezza; ma io non mi fermo al crocefisso. Il sepolcro è vuoto! Quando noi andiamo a Gerusalemme andiamo tutti a visitare il Santo Sepolcro, ma quando si va al Santo Sepolcro, non si va a vedere il sepolcro di Gesù per trovarvi le reliquie di Gesù, come uno che va a Roma nella Basilca di san Pietro, sotto l’altare della Confessione dove san Pietro è stato sepolto e dove ci sono ancora alcuni resti. No, noi a Gerusalemme andiamo a visitare il sepolcro vuoto, perché il sepolcro di Gesù è rimasto vuoto, Gesù è risorto. Il Crocefisso, colui che aveva aperto orizzonti immensi di speranza per l’umanità, non è stato sconfitto. La croce è l’espressione suprema del suo amore per gli uomini. La croce è amore. È l’espressione suprema dell’amore di Gesù, il Figlio di Dio incarnato, per gli uomini; è l’espressione suprema dell’amore di Dio Padre che ci ha talmente amati da dare per noi il Figlio, ma questa croce esplode nella resurrezione e quindi ci dà la certezza che è un amore salvatore. La croce di Cristo è salvatrice, perché Cristo è morto e risorto e risorgendo ha spalancato il cuore alla speranza e ci ha dato realmente la speranza.
Noi con la quaresima ci mettiamo in cammino verso questo evento, la Pasqua del Signore Gesù che è tutta iniziativa di Dio; è un poderoso, mirabile evento, la liturgia lo chiama, mirabilia Dei, le opere mirabili, straordinarie, portentose di Dio nella storia dell’uomo. Questo è l’intervento più portentoso di Dio nella storia dell’uomo. L’intervento che salva. Però, vedete, l’iniziativa è di Dio, di un Dio che poteva anche abbandonarci nel nostro peccato. L’uomo ha peccato e Dio poteva anche lasciarlo nel peccato. Ma Dio viene a cercarci. Vi ricordate il racconto della Genesi, del peccato originale, il peccato del primo uomo? Quando Adamo si è distaccato da Dio. Il peccato vuol dire questo, vuol dire rivendicare la propria autonomia da Dio: “Sono io il regolatore della mia vita non sei tu, tu dici così e così, io dico no, non tu, ma io regolo la mia vita”. Una rivendicazione di assoluta indipendenza da Dio, da quel Dio che ti ha fatto, da quel Dio che ti ha creato, da quel Dio che ti è padre. Tu dovresti riconoscerlo come Padre, invece dici: “No, sono io la norma della mia vita!”. Questo è il peccato! Naturalmente il racconto è simbolico, esprime in termini semplici una verità profonda. La sera di quel giorno Dio, come ogni sera, scende a fare visita ad Adamo. Il padre che va a trovare il figlio e lo cerca e non lo trova. Dio dice: ”Adamo dove sei? Adamo dove sei?”. I grandi autori spirituali dell’Oriente hanno riflettuto molto su questo Dio che cerca l’uomo e interpretano questa domanda: “Adamo dove sei?” come il pianto di Dio. Il pianto di Dio che ha perduto l’uomo e lo va a cercare. Ecco, la Pasqua è proprio questo intervento di Dio nella storia dell’uomo, di un Dio che prende l’iniziativa di andare a cercare suo figlio perché, sembra quasi indegno dire questo di Dio, non può fare a meno di lui. È un modo di dire, ma dice anche una realtà profonda: l’amore non può fare a meno della persona amata, Dio non può fare a meno dell’uomo, che è suo figlio, che lui ha fatto con infinito amore. Ecco, la quaresima è questo. Non siamo noi che andiamo a cercare Dio, è Dio che viene a cercarci e se Dio viene a cercarci, noi dobbiamo aprirgli il cuore. Se Dio viene a cercarci, noi dobbiamo lasciarci trovare da Dio. Ecco in questo cammino di quaranta giorni verso la Pasqua noi dobbiamo lasciarci incontrare da Dio, lasciarci trovare da Dio.
Cosa vuol dire questo lasciarci trovare da Dio? La liturgia, anche la preghiera, della Messa delle Ceneri usa una parola: conversione, che nel suo originale significato vuol dire cambiare direzione. Io vorrei quasi interpretarlo così: un ri-orientamento della nostra vita. La nostra vita è orientata a Dio, lui ci ha fatti e noi siamo suoi. Se Lui ci ha fatti e noi siamo suoi, se il nostro cuore è stato polarizzato a Lui, siamo fondamentalmente orientati a Lui. Il peccato ci ha disorientati, dis-orientati. Ci ha tolto l’orientamento profondo e pacificante della nostra vita. La conversione cos’è? È un ri-orientamento della vita a Dio, è la grazia che ci viene da Dio di riorientare la nostra vita come Dio l’aveva orientata quando ci ha creati, quando ci ha fatti suoi figli. Un figlio è orientato al padre. Quindi la conversione, il riorientamento della vita, è un’uscita dal peccato, che è rivendicazione di autonomia assoluta da Dio, per un incontro personale con il Signore e la Pasqua è proprio questo. Un incontro con il Dio del Crocefisso glorificato, del Crocefisso glorioso. E la quaresima cos’è allora? Un cammino verso la Pasqua, che non parte da noi, parte dalla Pasqua. La quaresima è un cammino verso la Pasqua, ma la grazia di camminare verso la Pasqua non è in noi! La grazia di camminare verso la Pasqua ci viene dalla croce gloriosa di Cristo. Vedete amici, dal peccato non si esce di nostra iniziativa, dal peccato non si esce con le nostre forze, nel peccato si sta. Addirittura, in un certo momento, nel peccato ci si adagia e vorrei dire una cosa anche molto dura, il peccato crea peccato, il peccato genera peccato. Dal peccato, da soli, con le nostre forze soltanto, non si esce. Dal peccato ci tira fuori solo la grazia, l’iniziativa assolutamente gratuita di Dio! La quaresima cos’è? È un cammino verso la Pasqua, verso la salvezza, l’uscita dal peccato per incontrarci con il Signore. Ma in questo cammino la forza per camminare verso di lui, la forza per riorientare a Lui la nostra vita non è in noi, ci viene da Lui. È grazia la quaresima, è grazia riorientare la propria vita a Dio. E questo lo sentiremo proclamare nella seconda lettura di oggi, che è tratta dalla seconda lettera ai Corinti. Questo bellissimo brano al capitolo quinto, versetto 26 dice: “Noi apostoli fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo come se Dio esortasse per mezzo nostro, vi supplichiamo in nome di Cristo, lasciatevi riconciliare con Dio”. Non dice riconciliatevi con Dio, prendete l’iniziativa di riconciliarvi con Dio, non dice questo, perché il peccatore da solo non lo fa. L’uomo che è in situazione di peccato non si riconcilia da solo, di sua iniziativa con Dio. La riconciliazione con Dio è grazia! “Lasciatevi riconciliare con Dio” e poi dice “questo è il tempo favorevole, questo è il tempo della salvezza”. E la quaresima è proprio questo tempo favorevole, questo tempo di grazia, e la grazia è la nostra uscita dal peccato per poterci incontrare con il Signore.
Naturalmente questo riorientamento della nostra vita con Dio necessita che io assenta, dia il mio consenso. L’iniziativa è di Dio, ma interpella la mia libertà quindi io devo dare la mia collaborazione, l’assenso della mia libertà. Devo rispondere a questa grazia di Dio, essa esige una risposta, esige l’attivazione della mia responsabilità libera. E questo ci costa fatica. L’uscita dal peccato ci costa fatica. Il peccato è una ferita. Il perdono la guarisce, però la ferita si rimargina a poco a poco, costa fatica. La conversione quindi è anche prova. La quaresima ricalca il modello dei quaranta anni di Israele nel deserto. Pensate. È stato un tempo di fatica, di cammino faticoso, un tempo in cui Israele è stato molto tentato, ad un certo punto si ribella a Mosè perché non c’è pane, “Noi vogliamo il pane” e Dio risponde dando il pane, dando la manna. Poi il popolo si lamenta un'altra volta quando non c’era acqua e hanno protestato e hanno fatto un tumulto. Come Israele ha fatto fatica nei suoi quaranta anni nel deserto, così anche noi facciamo fatica nella conversione. È una prova e noi dobbiamo sostenerla. Ma il Signore non ci dona mai una prova se prima non ci ha dato le forze per poterla superare. Quindi la conversione costa fatica, l’uscita dal peccato costa fatica, però siamo sicuri che, giorno per giorno, il Signore ci dà la forza, ci fornisce il pane e l’acqua per superare questa fatica. Del resto ricordate i quaranta giorni di Gesù nel deserto. Quaranta giorni di tentazione dove Gesù è stato sottoposto a delle tentazioni, a delle fatiche. Anche Lui è stato tentato da satana a rivendicare la sua autonomia dal Padre, e Gesù resiste a questo.
Gesù ha faticato nel seguire la volontà del Padre? Ecco un’altra domanda che potreste farvi. Certo Gesù ha fatto fatica come noi a compiere la volontà del Padre. C’è un brano bellissimo nella lettera agli Ebrei che dice: “Noi non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità”, noi facciamo fatica a dire di sì a Dio, però, dice la lettera agli Ebrei, che è un testo ispirato, parola di Dio, dice che anche Gesù, nostro sommo sacerdote ha fatto questa fatica; “essendo stato lui stesso, provato in ogni cosa escluso il peccato”, e in un altro testo appena dopo dice che Gesù “imparò l’ubbidienza dalle cose che patì”. Gesù ha fatto fatica a dire di sì al Padre; ha sempre detto di sì, ma ha detto sì nella fatica come noi. Con la grazia di Dio possiamo dire sempre il nostro sì, anche se ne sentiamo la fatica. Quindi il cammino quaresimale è anche un cammino che esige il nostro impegno, la collaborazione piena della nostra libertà che mette in moto la nostra libertà. Anche Gesù si è sottoposto alla tentazione per dare forza a noi nella nostra tentazione.
A questo punto vorrei pormi un'altra domanda. Cosa devo fare per vivere bene la quaresima? La grande tradizione della Chiesa ha via via creato una regola quaresimale cioè una prassi, una pratica quaresimale, individuando alcuni atteggiamenti spirituali che ci aiutino a riorientare la nostra vita a Dio, ad uscire quindi dalla nostra rivendicazione di assoluta indipendenza da Lui per incontrarLo. Questa regola quaresimale faceva perno su tre opere tipicamente quaresimali, che sono l’ascolto della Parola di Dio con la preghiera, il digiuno e la carità.
Io vorrei presentarvele per cercare di capire cosa vogliono dire, ma anche per cautelarci di fronte ad un rischio. Quale? Il rischio di pensarle come delle buone azioni. Chi di voi è stato scout sa che fin da ragazzi si è abituati a fare delle buone azioni, cioè degli atti buoni di volontà, anche forte, che però si concludono tutti in se stessi. Queste tre opere quaresimali non sono soltanto degli atti buoni, ma se noi riflettiamo configurano uno stile di vita, un modello di vita pasquale che è veramente rinnovatore della nostra esistenza e direi che può essere messo come fermento nella società, capace di rinnovare la stessa società.
La prima delle opere quaresimali che ci viene lasciata dalla tradizione della chiesa è la preghiera, in particolare l’ascolto della Parola di Dio. Pregare sapete tutti cosa vuol dire, non c’è bisogno che io mi dilunghi. Ma perché dico in particolare l’ascolto della Parola di Dio? Perché l’ascolto della Parola di Dio è il modo tipico di pregare cristiano. Difatti il cristianesimo ci presenta Dio come Padre e noi figli. Ora qual è la dinamica elementare tra padre e figlio? Il padre parla al figlio e il figlio affettuosamente lo ascolta, il padre comunica se stesso; quando dico parlare non dico dà ordini, dico comunica se stesso, lo educa comunicandosi al figlio quindi aprendogli il cuore, aprendogli la vita, insegnandogli anche come vivere, ma a partire dalla sua esperienza, gli dà se stesso, si apre al figlio, si concede al figlio. E il figlio ascolta il padre, ma ascolta non soltanto con l’orecchio, ascolta con il cuore. Quindi il dinamismo dell’ascolto della Parola di Dio è tipico del pregare cristiano. Quando ascolto, do il mio assenso alla parola del Padre, gli dico anche: “ma io faccio fatica a fare come tu dici”; quindi gli chiedo di darmi la forza. Dall’ascolto della parola nasce il dialogo filiale, confidenziale, familiare con Dio. Il punto di partenza cristiano, tipicamente cristiano, della preghiera è proprio questo mettersi di fronte a Dio, al Padre, in atteggiamento di ascolto a Lui che mi si comunica parlandomi. Il modo elementare di comunicazione è proprio il parlarsi. Io vi sto parlando, vi sto comunicando la mia fede, sto confessando davanti a voi la mia fede, sto testimoniando. Cioè vi do qualcosa di me stesso. Ecco, il figlio ascolta. La preghiera è anzitutto l’atteggiamento fondamentale del figlio che ascolta il Padre. Se noi vogliamo pregare, però, dobbiamo fermarci. La preghiera ha bisogno di tempo, la preghiera non è una realtà astratta, la preghiera umana ha bisogno di tempo. Dobbiamo fermarci. Fermarci per ascoltare Dio. Fermarci per percepire in noi stessi il bisogno che abbiamo di Lui. Quando si dice di fermarsi per pregare, ci si trova di fronte a questa barriera: “non ho tempo”. “Non ho tempo”, credo che sia la frase che ripetiamo più spesso di fronte alle richieste che ci vengono da Dio. “Non ho tempo”. Il che vuol dire che non siamo più padroni del nostro tempo. Però se Dio non è il Signore del mio tempo, non è più il Signore della mia vita. Qual è il primo comandamento? Adorerai il Signore Dio tuo, servirai Lui solo. Dio deve essere al primo posto. Io non posso servire prima altre cose e poi, se c’è tempo, metto anche Dio. La questione del pregare dell’avere ogni giorno un momento in cui ascolto Dio e mi apro a Lui è essenziale al nostro rapporto, è fondamentale per un vero, autentico, sincero rapporto con Dio. Se non ho tempo, altri sono i signori, gli dèi della mia vita. Ma allora chi è il Signore, il primo della mia esistenza? Questa è una domanda fondamentale; elementare certo, ma fondamentale. Questa domanda cambia la nostra scala dei valori, la riordina. Ci aiuta a dare il primo posto a Colui a cui compete il primo posto e poi mettere ordine al secondo, terzo, quarto posto. Se noi diamo a Dio il primo posto, rimettiamo a posto la scala dei valori della nostra vita; iniziando da ciò che è primo anche le altre cose si mettono a posto. È molto importante che noi abbiamo una giusta scala di valori. È necessario recuperare il senso di Dio nella mia storia. In quaresima sforziamoci di recuperare il senso della preghiera, perché ciò veramente ci aiuta a riordinare la nostra vita, a dare un senso nuovo, un ordine nuovo.
La seconda grande opera quaresimale della tradizione della chiesa è il digiuno. Il digiuno è un valore che viene recuperato anche dalla cultura contemporanea, se volete anche per ragioni dietetiche. Ma non è questo il senso del digiuno di cui parliamo noi. Vorrei leggere il digiuno da tre punti di vista. Innanzitutto il digiuno è praticato in tutte le religioni, voi lo sapete. Dai profeti è contemplato, ma è anche criticato. I profeti si preoccupano di dire “non mi accontento del digiuno”. Ho preso un testo di Isaia (58, 6-10) dove troviamo una chiarificazione importante su cosa intende questo profeta con il digiuno. I digiuni erano ritmati con il suono del corno e Isaia dice: “Io non voglio i vostri pleniluni”. E oltre dice ancora: “Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto, davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà”. Vediamo il profeta che riequilibra: non mi accontento di un digiuno esteriore, non mi accontento di un fatto puramente fisico che mi fa mangiare di meno, ma recupero un senso profondo, il senso di amore e di solidarietà che deve avere il digiuno. Quindi non basta la pratica esterna del digiuno, che però ha il grande valore di metterci in mano il nostro corpo e di saperlo regolare. Con il digiuno, in fondo, uno prende in mano un po’ il governo della sua vita fisica e questo è un atteggiamento positivo.
Io vorrei sottolineare un altro aspetto: quello che è proprio indicato qui da Isaia. Dicevano i grandi vescovi dei primi secoli: “Fiat refectio pauperum abstinentia ieiunantium”, diventi cibo dei poveri ciò che risparmiate digiunando. Quindi il digiuno è esercizio di moderazione nell’uso del cibo e quindi dominio del nostro corpo, del nostro fisico. Ma non basta. Il digiuno deve avere anche un grande significato di solidarietà, fiat refectio pauperum, ciò che risparmiate digiunando diventi gesto di solidarietà e questo ha due radici.
Una è quella teologica ed è la comunione. La Chiesa ci dice che con il battesimo noi siamo inseriti in una comunione, in una fraternità in cui ciascuno di noi deve rispondere dell’altro. La vita del credente non è io e Dio , ma è io e Dio in una Chiesa. Io e Dio in una solidarietà di fratelli. Quando Gesù ci insegna il padre nostro non ci dice dite: “Padre mio”, ma ci dice dite: “Padre nostro”; cioè il nostro rapporto filiale con Dio è anche necessariamente un rapporto fraterno con tutti coloro che hanno Dio come Padre. E tutti gli uomini sono figli di Dio. Il nostro rapporto filiale con Dio ci apre una fraternità, una solidarietà con tutti gli uomini. Questo è il radicamento teologale di questo digiuno che è solidarietà con i fratelli.
Ma c’è anche una ragione sociale. Noi abbiamo sofferto tutti per quanto è successo nel sud-est asiatico il 26 dicembre, il grande maremoto. Ora, come si può vivere e mantenere uno stile di vita che non tenga conto di tanta sofferenza che c’è nel mondo? Sappiamo che ci sono miliardi di uomini che sono sotto il livello di sufficienza e noi apparteniamo a quella frazione, grande frazione, ma pur sempre minoritaria dell’umanità, che invece vive nella sufficienza e spesso anche qualcosa di più della sufficienza, molti anche nell’abbondanza. Ora il nostro essere figli di Dio, il nostro essere convocati dal battesimo in questa comunione fraterna che è la comunità dei figli di Dio, deve sollecitarci ad avere uno stile di vita che tenga conto dei fratelli che soffrono. Un vero cristiano, e qui non si possono imporre norme generali perché ciascuno deve vedere un po’ se stesso, non determina le sue spese e i suoi beni solo pensando a se stesso, ma, come si fa in una famiglia, pensando un po’ all’intera famiglia. “Fiat refectio pauperum abstinentia ieiunantium“. In questa quaresima dovremmo un pochino rivedere il nostro stile di vita, constatare se sia uno stile di vita sobrio, che tenga conto di tanti fratelli che sono sotto il livello del necessario. E io devo tenerne conto! È necessario fare attenzione a chi è più bisognoso di me, ecco uno slogan: mettere un piatto in più alla nostra tavola, il piatto dei poveri, sapere riservare qualcosa. Io so ad esempio che voi fate il bar a Betania. Ecco è una cosa bella, molto bella, questa è una forma di digiuno, questo è un dare qualcosa del vostro tempo. Un aspetto del digiuno è il volontariato. Ecco io do qualcosa del mio tempo a dei fratelli che ne hanno bisogno. So che andate anche ad assistere i bambini in ospedale. Sono cose belle, anche questo è un digiuno spirituale, una forma vera, autentica di digiuno, cioè dare qualcosa del mio. Io ho solo un po’ di tempo, non ho soldi, però ho un po’ di tempo, lo potrei dedicare alla tv, lo poteri dedicare ad andare il cinema, lo potrei dedicare a fare delle chiacchiere; ecco lo dedico a fare il bar a Betania, torno a casa il sabato e la domenica, ho mio nonno anziano che non esce più di casa, vado a fargli compagnia. Il Papa ha indicato un azione speciale di digiuno per la quaresima: la vicinanza agli anziani che spesso sono soli. Il digiuno come governo di sé stesso, il digiuno come solidarietà, come presa di coscienza che viviamo in una solidarietà, in una comunione, con la responsabilità di guardare fuori dai miei bisogni e vedere i bisogni dei fratelli, digiuno come tempo donato.
La terza opera tipicamente quaresimale, vicina al digiuno, è la carità. E qui vorrei richiamare alcune parole che possono interpretare la carità, che è la vita stessa di Dio. Dio è amore, ci dice san Giovanni nella sua prima lettera. Questo è il partecipare il più intensamente possibile al mistero pasquale di Gesù. Dico tre parole che possono dare concretezza a questa carità.
Il perdono. Ho ricevuto un torto, ne porto in cuore la ferita, non riesco a perdonare. Il perdono. La Pasqua è la festa del perdono. Noi poi lo viviamo anche nel momento della riconciliazione. Pensate alla bellissima pagina di san Luca, del padre misericordioso e del figlio che se ne va via di casa. Il padre lo aspetta e lo accoglie. Il perdono è la festa di Dio. Nelle parabole sul perdono, la pecorella smarrita, la dramma perduta il figliol prodigo o il padre misericordioso finiscono tutte dicendo che si fa una gran festa. Quindi anche Dio fa festa. Ecco nel capitolo 15 di san Luca abbiamo proprio questo: la festa di Dio è il perdono. Si fa fatica a perdonare, io credo che umanamente il perdono sia un processo difficile. Quando in tv si vedono le interviste che chiedono: “lei perdona?” mi infastidisco, perché non si può fare così! Perché il perdono è un processo profondo, spirituale che esige i suoi tempi, ha i suoi ritmi, matura nel cuore un po’ per volta. Non è facile perdonare, però è profondamente cristiano. Gesù, mentre viene crocifisso, dice al Padre: “Padre perdona loro, non sanno quello che fanno”. Il perdono! La carità, opera quaresimale è innanzitutto perdono.
Un’altra parola che dà concretezza alla carità è la riconciliazione. Faccio pace. Si è bisticciato, ci si è offesi, sono volate parole che non si dovevano dire, ma sono state dette e hanno lasciato una ferita; non ci si parla, ci si incrocia e non ci si parla e si va a letto arrabbiati. Ecco, la quaresima è tempo di riconciliazione. Lasciatevi riconciliare con Dio. Ma per riconciliarsi con Dio bisogna riconciliarsi con i fratelli, è Gesù che lo dice: “Se stai portando la tua offerta all’altare e ti ricordi che un fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta, vai a riconciliarti con tuo fratello e poi vieni, ritorna all’altare e fa’ la tua offerta”. La riconciliazione!
L’altra parola che dà concretezza alla carità è la pace. Il grande tema della pace. La grande sorgente della pace è la Pasqua di Cristo, che è la grande riconciliazione dell’umanità con Dio e quindi anche della riconciliazione degli uomini tra di loro. Il nostro impegno di pace è radicato nella Pasqua di Cristo. L’impegno di pace non è solo manifestare per la pace, cioè esprimere un consenso civile, quanto più possibile condiviso, con un valore politico, ma è soprattutto vivere la pace tutti i giorni. Un vero operatore di pace vive tutti i giorni la pace in casa, in famiglia, a scuola, sul posto di lavoro, nei rapporti sociali. Lì, io dimostro di essere veramente amante della pace. Il vero operatore di pace non si accontenta di gridare la pace, ma la vive nei suoi rapporti, nei suoi affetti, negli ambienti in cui vive e testimonia il suo impegno di pace.
Queste tre parole danno concretezza a quell’opera di carità che è tipicamente quaresimale: il primato di Dio nella vita, il digiuno, non soltanto come ascesi corporale, ma come esercizio di solidarietà e l’amore, come perdono, riconciliazione e pace. Dietro questi orientamenti non c’è soltanto l’opera buona, ma, se voi riflettete, c’è uno stile di vita, c’è un modo di vivere. Se noi lo viviamo veramente è un fermento, è un lievito che noi mettiamo nella pasta della convivenza civile e questo fermento lievita comportamenti che poi possono prendere corpo anche in determinazioni della comunità, in determinazioni legislative. È un nuovo stile di vita, uno stile, un modello di vita pasquale. Allora vedete che i “no” che noi diciamo con il digiuno, con la carità, non sono dei “no”, sono dei “sì”, dei “sì” per la costruzione di un modello nuovo di vita, un modello di vita pasquale che non è fatto di “no”, ma è fatto di “sì”. Che non c’è fatica, ma c’è gioia; la Pasqua è fonte di gioia, una gioia che viene conquistata nell’impegno, talora anche faticoso di ogni giorno, mai però senza la grazia del Signore che ci accompagna.
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